C A P O N E   S T O R Y

Irriverente, capriccioso, millantatore,

si crede un avvocato, uno chef.

Si crede un grande architetto un artista.

Si crede Reagan.


Marzo 2025

Il rifugio del giovane Capone

Liberamente ispirato al romanzo OBLOMOV
di Ivan Gonc’arov

In gioventù Capone viveva in un appartamento di un edificio da cui poteva vedere un orizzonte smisurato.

Oltre ai tetti spioventi del paese e ai due esili campanili, la verde e rigogliosa campagna che all’orizzonte

si perdeva nel profilo delle montagne sulle quali svettavano il Monte Rosa e il Resegone.


Non era un giovane di grande valore agli occhi degli altri, ma nemmeno voleva esserlo. Si svegliava

tardi ogni giorno, cercando di evitare la luce del sole che entrava dalle finestre. La sua vita si trascinava

lenta, come un fiume che non ha più la forza per muoversi. Il suo corpo era ancora giovane,

ma la sua mente sembrava essere fatta di un’altra stoffa, una stoffa stanca, logorata.

Non che non avesse sogni, anzi, ne aveva tanti. Si immaginava viaggiatore, un avvocato con una

grande oratoria, un architetto e un artista che creava opere meravigliose. Ma quando arrivava

il momento di agire, qualcosa dentro di lui si fermava di fronte ad un ostacolo invisibile

che non riusciva a superare. Le sue giornate passavano tra i libri. Leggeva con passione, ma spesso

non riusciva a concentrarsi. Si fermava a metà di una frase, il pensiero vagava altrove e la pagina

diventava solo un altro paesaggio sfocato. Eppure, non c’era altro che amasse di più dei libri, della

solitudine e di quel mondo che creava e distruggeva a suo piacere.


Gli amici lo consideravano una persona simpatica, ma un po’ smarrita ed eccentrica.

Gli facevano la corte, ma Capone li respingeva con dolcezza sostenendo che ogni impegno sociale

era una montagna troppo alta da scalare. Lo invitavano a uscire sperando che si decidesse a cambiare,

a lasciarsi andare alla vita. “Un giorno”, rispondeva lui, “un giorno troverò il coraggio”.

Capone viveva come se ogni ora fosse una prigione, senza mai farla diventare una opportunità.


Un pomeriggio, la solita noia lo colpì più forte del solito. Aveva ricevuto una lettera, una proposta

che avrebbe potuto cambiarlo, forse dargli la possibilità di mostrare i suoi lavori creativi

attinenti alle arti visive e lasciati svogliatamente in un cassetto. La lettera giaceva sul tavolo

da giorni, aperta, come una porta che non riesce ad essere attraversata.

Era come se avesse paura della vita, paura di tutto ciò che potesse richiedere impegno, un cambiamento.

Il suo rifugio era la sua stanza, il suo letto, la sua solitudine, che, pur nella sua miseria,

gli dava una sorta di conforto. La vita esterna, quella che scorreva intorno a lui

gli sembrava troppo complicata, troppo esigente e faticosa………….


Ma una mattina, quando Capone pensava di aver toccato il fondo, aprendo la finestra

sentì insieme all’aria fresca sul suo viso come un richiamo imperativo ad uscire.

La vita gli stava scivolando tra le mani. Se non si decideva a viverla, un giorno

sarebbe stato solo, tra ricordi mai realizzati.


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La leggenda narra che una mattina di bianca rugiada

Capone finalmente uscito di casa, incontrò in un cartellone pubblicitario Marilyn.

Capone capì allora che il vero rimpianto non era il non aver vissuto una vita piena,

ma il non aver nemmeno provato a cambiarla. Non c’erano risposte facili, né soluzioni immediate.

In quel momento, nel suo piccolo angolo di solitudine si rese conto con l’amore trovato

di incominciare un nuovo viaggio, un viaggio che non era fatto di chilometri,

ma di passi, piccoli passi, per superare l’inerzia della sua stessa esistenza.



La storia riprende e interpreta con C. le tematiche centrali di OBLOMOV.

La pigrizia mentale ed emotiva e la paura del cambiamento.

C. come un moderno hikikomori racconta la sua storia, la sua voluta

solitudine, ma anche la speranza che qualcosa anche se piccolo

in fondo possa accadere… forse in una fresca mattina di bianca rugiada.